Dieci giorni dentro Città dei Morti. Dieci giorni dentro il cimitero monumentale del Cairo. Dieci giorni nel diciannovesimo slum più grande del mondo. Dieci giorni per studiare gli insediamenti informali cairoti e proporre delle strategie di sviluppo sostenibile: dal 26 ottobre al 5 novembre “Inside the City of the Dead”.
Situato 7 km ad est dal centro di una delle più grandi megalopoli, con una superficie di 7,6 mq, Città dei Morti è stata fondata nel settimo secolo d.C. ed è il più vecchio cimitero funzionante del mondo. Attualmente è abitato da circa 800.000 persone che, già dal secolo scorso, a seguito della crisi urbana degli alloggi e delle carestie, occupano abusivamente le cappelle funerarie adibite alla sepoltura dei defunti e le piccole stanze costruite originariamente per ospitare i pellegrini e i guardiani dei mausolei, riadattate in abitazioni permanenti.
Fin dalla sua nascita, il cimitero è nato come luogo di equilibrio tra morte e vita e ancor oggi la caratteristica di coabitazione tra vivi e defunti nella necropoli è un aspetto peculiare e unico al mondo. Anche grazie a questa sua caratteristica, Città dei Morti si differenzia dagli altri quartieri informali poiché le bidonville sono totalmente assenti, i nuclei abitativi non sono sovraffollati, l'ambiente è salubre, c'è acqua ed elettricità e il cimitero ha un impianto ordinato e riconoscibile che si presenta come un tutt'uno con il piano urbano e in alcuni punti s'incunea nel centro storico.
Tuttavia, il rapporto del resto della metropoli e delle autorità locali con la necropoli è ambiguo; “vivere in una tomba” rappresenta una condizione di assurdità e tabù e il cimitero è visto come l’estremo e degradato margine della città, come un posto pericoloso e ad alto rischio criminalità, causa di comune imbarazzo, ritenuto, dunque, lo sfregio dell'immagine pubblica della capitale egiziana.
Molte aree, soprattutto nella zona più a nord, sono state irrimediabilmente deturpate da sgombri e demolizioni, con conseguenze disastrose per la comunità. Tali interventi, pianificati con il solo obiettivo di spianare la strada a nuove e redditizie speculazioni edilizie, hanno compromesso l'alto valore architettonico e artistico della zona.
A prova di ciò, recentemente il governo egiziano ha approvato un nuovo piano strategico, “Cairo 2050”, con lo scopo di fornire la città più inquinata del mondo di un polmone verde. In realtà, sembra che sotto questi buoni e sani propositi si celino invece interessi politici ed economici. Il piano infatti prevede la demolizione totale del cimitero e la costruzione di aree residenziali ad alta densità dentro e attorno a questo cuore verde; molti degli insediamenti informali dovrebbero venir smantellati e rilocalizzati in una zona più periferica, cancellando così importanti pezzi della città storica e delle sue strutture sociali. La progressiva privatizzazione dello spazio e dei servizi, “mega-progetti” studiati da “archi-star” internazionali senza nessun rispetto per tutto ciò che rappresenta l'identità del Cairo, andranno a trasformare la città in una sorta di seconda Dubai, incrementando il turismo di lusso e di massa.
In opposizione alle linee guida sottese al progetto urbanistico governativo, l'ONG Live in Slums propone, con un ampio progetto multi-disciplinare, di provare come Città dei Morti costituisca invece un grande potenziale serbatoio per lo sviluppo sostenibile della città.
Da un po' di anni l'ONG milanese, in collaborazione con il Politecnico di Milano e Feda - Facoltà di Architettura del Cairo - ha avviato un progetto di ricerca per preservare il patrimonio architettonico e antropologico del cimitero storico del Cairo e ha creato un “laboratorio di quartiere” per ascoltare le istanze della comunità locale e per aiutare gli abitanti di Città dei Morti a riflettere, insieme a studiosi, professionisti e ai partecipanti di vari workshop, su come mantenere e preservare questi paesaggi in modo sostenibile e durevole.
Questo vasto programma mira a mantenere un altro piccolo progetto di eco-turismo rispettoso della struttura fisica e sociale del luogo, che ha lo scopo di avviare delle piccole attività legate al cimitero tramite forme di micro-credito.
Il laboratorio a cui io ho partecipato (assieme ad altri 11 ragazzi) era finalizzato proprio a questo: cercare di sviluppare una forma di sussistenza agro-alimentare con conseguente vendita del surplus di alcuni prodotti attraverso un progetto di agricoltura urbana. L'idea è stata quella di lavorare con la tecnica del micro-gardening, cioè degli orti sollevati da terra; essa è nata dall'impossibilità di utilizzare e coltivare direttamente il suolo dei vari hosh (tombe) poiché ritenuto sacro, in alcune aree contaminato, a volte sabbioso e quindi poco fertile e perché alla maggior parte dei residenti non è permesso trasformare il suolo, non essendo di loro proprietà.
Con non pochi imprevisti e disguidi, durante i dieci giorni di permanenza a Città dei Morti, assieme alla coordinatrice Elisabetta Bianchessi e all'agronomo Tommaso Sposito, siamo riusciti ad interagire con 7 famiglie locali: ognuna di esse ora ha nel proprio cortile, sul tetto della propria “casa”, sotto una pergola o addirittura sospesa tra due pareti, una o più cassette di legno, un pneumatico, delle bottiglie di plastica o delle ceste in cui vedrà crescere le sue preziose piantine.
Dalla tecnica su substrato a quella idroponica, dal semenzaio al trapianto, dall'irrigazione alla fertilizzazione: questi gli argomenti delle lezioni preparatorie al nostro lavoro con gli abitanti del cimitero.
Molti dei materiali per costruire i vari contenitori sono stati recuperati al mercato locale o addirittura alla vicina discarica del quartiere Zaballem. Per precauzione alcune delle sementi sono state portate dall'Italia, mentre tutte le piantine sono state acquistate presso un vicino vivaio.
E' stato interessante e curioso, a volte difficile, osservare la diversità degli atteggiamenti e delle reazioni delle famiglie davanti alla proposta di un progetto simile. Inizialmente tanta curiosità, ma anche un po' di scetticismo o disinteresse, poi soprattutto entusiasmo, riconoscenza e gratitudine. A noi “studenti” è stato dato il compito, oltre che di spiegare e costruire assieme a loro i vari orti (a volte a gesti, a volte grazie ad un traduttore o a volte addirittura a degli schizzi o disegni), anche di far capire l'importante compito e responsabilità di cui ogni famiglia si sarebbe fatta carico: prendendosi cura delle piante infatti, si innesca un meccanismo di miglioramento della qualità della vita, in quanto questi sono prodotti di buona qualità e danno la possibilità di variare la dieta alimentare con ovvi benefici sulla salute fisica; inoltre, la vendita del raccolto che, secondo il fabbisogno risulta eccedere, può dar vità a importanti momenti di vita sociale.
Parallelamente alla vera e propria realizzazione dei miro-gardening abbiamo inoltre svolto un importante lavoro di documentazione con l'appoggio del fotografo Filippo Romano (e della sua polaroid...). L'intero programma era quindi fondato su un doppio registro, quello del lavoro sul campo e quello della memoria dell'azione, del luogo e dei suoi abitanti.
Durante i 10 giorni del workshop “Inside the City of the Dead”, oltre al progetto pilota di agricoltura urbana, si sono svolti contemporaneamente altri tre laboratori seguiti da diversi studiosi e professionisti: progettazione urbana, antropologia culturale e fotografia.
Ogni singolo lavoro è stato svolto e pensato come un primo passo verso il riconoscimento della dignità di questa parte di popolazione, verso la sua reale autonomia; un primo passo per dar voce agli abitanti, in quanto cittadini, rendendoli protagonisti della ricostruzione dei loro spazi urbani e del loro tessuto sociale.
Maggiori info: www.liveinslums.org